Un giorno alle Isole Lavezzi

L’imbarcadero

L’arcipelago delle isole Lavezzi fa parte della più grande riserva naturale della Francia: la réserve des Bouches de Boniface.
Questa si distende dal porto di Porto-vecchio a est, al Leone di Roccapina a ovest.
Occupa una superficie da vicino 80 000 ettari e è classificata 23 settembre 1999.

L’arcipelago è composto di isole di granito e costituisce il punto più meridionale della Francia metropolitana.
L’isola principale si distende su una superficie di 66 ettari sulla quale vivono più di 200 specie di piante endemiche di cui alcune possiedono virtù farmaceutiche.

Accoglie parecchie specie di uccelli marini come il cormorano huppé mediterraneo, il puffin cenere, il falco pellegrino, ecc…
Si trova anche il monumento che rende omaggio ai marinai del naufragio della Sémillante.
Il 15 febbraio 1855 la Sémillante, una fregata francese che stava facendo rotta da Tolone alla Crimea, naufragò a Lavezzi, colta da un fortunale, e gli oltre 600 uomini imbarcati, tra ufficiali e marinai, morirono
È una storia triste, ma la raccontano per spiegare perché passeggiando sull’isola troverà due cimiteri.
E la raccontano anche per ricordare la sventura dell’equipaggio della Sémillante, 695 uomini che attraverso le parole di chi porta i turisti qui, vengono ricordati e sottratti un po’ all’oblío che gli sarebbe toccato (probabilmente) se fossero arrivati fino in Crimea e morti laggiù.

Il 15 febbraio 1855, è stata colta da una violenta tempesta durante la quale perde prima il suo timone per poi fracassarsi sulle rocce.
È ancora oggi la più grande catastrofe marittima mediterranea: circa 700 persone hanno perso la vita.
Un anno più tardi, una piramide è stata eretta a loro memoria sul luogo del naufragio, nonché 2 cimiteri, (quello dei marinai e quello dei ufficiali).
La Sémillante era una fregata di prima classe di oltre 50 metri che aveva ordine di portare rinforzi alle truppe francesi impegnate in Crimea.

Salpata da Tolone il 14 febbraio doveva fare rotta a sud della Sardegna, ma un forte Libeccio costrinse il comandante Gabriel August Jugan, con una lunga esperienza di navigazione alle spalle, a tentare di passare le Bocche per ridossarsi a est della Sardegna.
È difficile ricostruire gli eventi, le testimonianze sono poche e perse nel tempo, ma quello che si sa è che la forza del vento raggiunse il grado di fortunale (l’11esimo grado della scala Beaufort – al 12esimo c’è l’uragano), con venti oltre i 55 nodi e onde alte oltre 10 metri.

Una potenza indomabile per qualsiasi nave e qualsiasi comandante, per quanto esperto.
Il farista di Capo Testa raccontò di aver avvistato la fregata intorno alle 11 del mattino tentare una manovra che lasciava pensare ad una rottura del timone e ad un tentativo da parte del comandante di spiaggiare la nave.
Ma poi la Sémillante sparì di nuovo nella foschia del mare, in balía della forza delle Bocche.

Da quel momento in poi si sa solo che l’unico abitante delle isole Lavezzi, un pastore, udì il rumore di uno schianto mostruoso sulle rocce e che il giorno dopo, riuscito a raggiungere la spiaggia, trovò uno spettacolo agghiacciante: cadaveri, fasciame, bauli, pezzi di nave sparsi per tutta l’isola.
Il pastore allertò i soccorsi appiccando il fuoco al suo casale.
Un antico ovile si trova ancora su questa isola.

I due cimiteri che custodiscono i resti dell’equipaggio e della nave, e il pinnacolo che ne onora la memoria, sono tutto quello che resta del naufragio della Sémillante.
Così, nelle ore del tramonto, immersi nel silenzio e nella solitudine di queste rocce, ci ricordiamo sempre del rispetto dovuto alla vita e al mare.
Una ventina di anni dopo la catastrofe, nel 1874, venne costruito un faro sull’isola per segnalare questo stretto che resta una delle zone più pericolose del Mediterraneo a causa di scogli, emersi e sommersi, e delle correnti marine.

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