Auschwitz I

Il campo di concentramento di Auschwitz (in tedesco: Konzentrationslager Auschwitz, abbreviato KL Auschwitz o anche KZ Auschwitz) è stato un vasto complesso di campi di concentramento e di sterminio situato nelle vicinanze della cittadina polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz).

Durante la seconda guerra mondiale, tra il 1940 e il 1944, vi furono sterminati più di 1 milione di prigionieri, in gran parte ebrei.

Oltre al campo originario, denominato Auschwitz I, durante il periodo dell’Olocausto nacquero diversi altri campi del complesso, tra cui il famigerato campo di sterminio di Birkenau (Auschwitz II), situato a Birkenau (in polacco Brzezinka), il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III), situato a Monowitz, (in polacco Monowice), e altri 45 sotto-campi costruiti durante l’occupazione tedesca della Polonia in cui i deportati venivano utilizzati per lavorare nelle diverse industrie tedesche costruite nei dintorni.

Il complesso dei campi di Auschwitz, il più grande mai realizzato dal nazismo, svolse un ruolo fondamentale nel progetto di “soluzione finale della questione ebraica” – eufemismo con il quale i nazisti indicarono lo sterminio degli ebrei (nel campo, tuttavia, trovarono la morte anche molte altre categorie di internati) – divenendo rapidamente il più efficiente centro di sterminio della Germania nazista.

Auschwitz, nell’immaginario collettivo, è diventato il simbolo universale del lager, nonché sinonimo di “fabbrica della morte”, realizzato nel cuore dell’Europa orientale del XX secolo.

Mentre l’Armata Rossa dell’Unione Sovietica si avvicinava ad Auschwitz nel gennaio del 1945, verso la fine della seconda guerra mondiale, le truppe naziste mandarono la maggior parte della popolazione del comprensorio di Auschwitz con le marce della morte, verso altri campi in Germania e Austria.

Le truppe sovietiche liberarono il campo il 27 gennaio 1945 alle 8:00 un giorno commemorato dal 2005 come Giorno della Memoria.

Nel 1947 il parlamento polacco deliberò la creazione di un memoriale-museo che comprese l’area di Auschwitz I e Auschwitz II.

Nel 1979 il sito venne dichiarato patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

La denominazione iniziale Auschwitz Concentration Camp è stata modificata in Memorial and Museum Auschwitz Birkenau – German Nazi Concentration and Extermination Camp.

Facevano parte del complesso 3 campi principali e 45 sottocampi.

L’area di interesse del campo (Interessengebiet), con sempre nuove espropriazioni forzate e demolizioni delle proprietà degli abitanti residenti, arrivò a ricoprire, dal dicembre 1941, la superficie complessiva di circa 40 chilometri quadrati.

All’interno di questa superficie avevano sede anche alcune aziende modello, agricole e di allevamento, volute personalmente da Hitler, nelle quali i deportati venivano sfruttati come schiavi.

Auschwitz I era un Konzentrationslager (campo di concentramento).

Fu reso operativo dal 14 giugno 1940, ed era centro amministrativo dell’intero complesso.

Il numero di prigionieri rinchiusi costantemente in questo campo fluttuò tra le 15 000 e le oltre 20 000 unità.

Qui furono uccise, nella camera a gas ricavata nell’obitorio del crematorio 1, o morirono a causa delle impossibili condizioni di lavoro, di esecuzioni, per percosse, torture, malattie, fame, criminali esperimenti medici, circa 70 000 persone, per lo più intellettuali polacchi e prigionieri di guerra sovietici.

Nei sotterranei del Block 11 di Auschwitz, la prigione del campo, il 3 settembre 1941 venne sperimentato per la prima volta dal vicecomandante del campo Karl Fritzsch, per l’uccisione di 850 prigionieri, il gas Zyklon B, normalmente usato come antiparassitario, poi impiegato su vasta scala per il genocidio ebraico: fu terribilmente tragico, poichè dopo 30 minuti di agonia, molti condannati erano ancora vivi, anche se semincoscenti, per cui si decise di aumentare la dose di Zyklon B.

Auschwitz, che servì come centro amministrativo per l’intero complesso, fu fondato il 20 maggio 1940 convertendo delle vecchie caserme dell’esercito polacco in un campo di concentramento e campo di lavoro.

Un gruppo di 728 prigionieri politici polacchi provenienti da Tarnów furono i primi deportati ad Auschwitz il 14 giugno 1940 e lavorarono come manovali al riadattamento delle caserme, danneggiate dai bombardamenti e alla costruzione delle recinzioni perimetrali.

Inizialmente gli internati furono intellettuali e membri della resistenza polacca; più tardi vi furono deportati anche prigionieri di guerra sovietici, criminali comuni tedeschi, prigionieri politici ed “elementi asociali” come mendicanti, prostitute, omosessuali, testimoni di Geova ed ebrei.

Normalmente vi erano detenute dalle 13 000 alle 16 000 persone ma nel 1942 si raggiunse la cifra di 20 000 detenuti.

Sopra il cancello di ingresso si trovava la cinica scritta Arbeit macht frei (“Il lavoro rende liberi”).

Sembra che la scritta fosse stata ideata dall’SS-Sturmbannführer Rudolf Höss, primo comandante responsabile del campo e sembra anche che il fabbro che costruì la scritta, un dissidente politico polacco di nome Jan Liwackz, detenuto con numero di matricola 1010, l’avesse fatta saldando la lettera “B” al contrario come segno di protesta, in quanto conscio di quale sarebbe stata la vera funzione del campo di Auschwitz; questo gesto gli sarebbe potuto costare la vita.

A tal proposito, sembra che lo stesso fabbro, sopravvissuto all’Olocausto, quando il campo fu liberato dall’Armata Rossa, chiese di riavere l’insegna in quanto, essendo stata realizzata da lui, “gli apparteneva”, cosa che non avvenne dato che, ormai, la scritta apparteneva alla storia.

I prigionieri che lasciavano il campo per recarsi al lavoro, o che vi rientravano, erano costretti a sfilare sotto questo cancello, accompagnati dal suono di marce marziali eseguite da un’orchestra di deportate appositamente costituita, Mädchenorchester von Auschwitz (letteralmente “Orchestra delle ragazze di Auschwitz”).

Contrariamente a quanto rappresentato in alcuni film, la maggior parte dei prigionieri ebrei non era detenuta nel campo di Auschwitz e quindi non passava per questo cancello.

Le SS selezionarono alcuni prigionieri, spesso criminali comuni di origine tedesca o ariana (e quindi appartenenti alla “razza superiore”), come supervisori per gli altri detenuti.

Tali supervisori, chiamati Kapo, si macchiarono, nella maggior parte dei casi, di orrendi crimini abusando del proprio potere e divenendo così complici dei propri carnefici.

Gli internati vivevano in baracche chiamate Block dotate di letti a castello a tre piani di tipo militare; le condizioni di sovraffollamento delle baracche, spesso utilizzate al doppio della capienza massima, costringevano i prigionieri a dividere un pagliericcio in due o più favorendo la trasmissione di parassiti e germi, che aumentavano le già elevate possibilità di infezioni e malattie.

Gli ebrei, nella scala sociale del campo, erano all’ultimo posto e ricevevano il peggior trattamento.

Tutti gli internati avevano l’obbligo di lavorare (quelli inabili al lavoro venivano invece uccisi subito, appena arrivati nel campo); gli orari variavano a seconda delle stagioni, ma si assestavano su una media di 10-11 ore di lavoro giornaliero.

Una domenica ogni due, tranne per chi lavorava presso aziende belliche che funzionavano a ciclo continuo, era considerata giorno festivo e dedita ai lavori di pulizia e manutenzione del campo e all’igiene personale dei detenuti.

Le disumane condizioni di lavoro, le scarse razioni di cibo e le condizioni igieniche pressoché inesistenti portavano rapidamente i detenuti alla morte.

Già nei piani nazisti, sviluppati sin dagli anni trenta-quaranta, era prevista la deportazione e lo sterminio del 90% dei polacchi.

Una volta finita la distruzione degli ebrei, i campi della morte della Polonia sarebbero stati usati contro i polacchi stessi.

La Polonia avrebbe dovuto essere smembrata, depredata di tutti i territori e di tutte le risorse nazionali e la piccola percentuale di popolazione sopravvissuta utilizzata come mano d’opera schiava al servizio dei coloni tedeschi, in aree da ripopolare con individui di razza germanica; il numero dei polacchi da lasciare in vita, necessario per la colonizzazione, era stimato in due-tre milioni.

Ogni famiglia tedesca avrebbe avuto i propri schiavi slavi di cui disporre a piacimento.

In questo contesto, già durante l’invasione tedesca della Polonia, avvenuta il 1º settembre 1939, le truppe tedesche vennero seguite da speciali Einsatzkommandos destinati allo sterminio di ebrei e personalità politiche e culturali polacche.

Presto tutte le prigioni polacche furono piene e si ebbe la necessità di trovare nuove aree di internamento per i numerosi prigionieri che venivano catturati durante i rastrellamenti.

Durante le prime fasi dell’invasione nazista, venivano eseguite numerose fucilazioni di massa (svolte dai soldati dell’esercito) dei “Nemici del Popolo Tedesco”: ebrei, zingari, oppositori politici.

Ci furono numerosi casi di diserzione e suicidi nelle file dell’esercito tedesco, i cui soldati faticavano ad accettare ordini che comportavano la fucilazione di vecchi, donne e bambini.

La scelta di aprire campi di sterminio veniva incontro anche all’esigenza di evitare il lavoro “sporco” ai semplici soldati di leva.

I campi di sterminio assolvevano tre necessità:

  • segretezza delle operazioni;
  • efficienza nello sterminio, applicato in scala industriale;
  • indipendenza dall’esercito, in quanto svolto da corpi speciali.

Nel dicembre 1939 il comandante della polizia di sicurezza (Sipo) e dell’SD di Breslavia, SS-Oberführer Arpad Wigand pose allo studio, in collaborazione con l’ufficio dell’alto comando delle SS e della polizia del Sud-Est (SS-Gruppenführer Erich von dem Bach-Zelewski), la possibilità di costruire un nuovo campo di concentramento nella zona di Oświęcim (Auschwitz).

Il luogo fu scelto per la presenza di una caserma di artiglieria polacca caduta nelle mani della Wehrmacht, situata fuori dalla città, quindi facilmente escludibile dal mondo esterno, alla confluenza tra i fiumi Vistola e Soła.

La posizione era inoltre provvista di favorevoli collegamenti ferroviari con la Slesia, il Governatorato Generale, la Cecoslovacchia e l’Austria che avrebbero semplificato la deportazione degli elementi “ostili”, “asociali” e degli ebrei.

Tra i mesi di gennaio e aprile 1940 furono vagliate diverse ipotesi alternative per l’ubicazione del campo, con l’intervento dello stesso comandante delle SS Heinrich Himmler, desideroso di risolvere quanto prima il problema della creazione di un nuovo complesso.

Nel febbraio sorsero ulteriori problemi legati alle difficoltà poste dall’esercito tedesco nella consegna della caserma ad Auschwitz.

Il giorno 8 aprile 1940 il generale Halm stipulò con le SS un contratto per la consegna del complesso.

Il 18-19 aprile 1940, Rudolf Höß, già aiutante presso il campo di concentramento di Sachsenhausen, fu inviato a compiere un ultimo sopralluogo.

Prima di visitare il campo Höß si incontrò con Wingand a Bratislava e fu messo minuziosamente al corrente del progetto: creare un campo di quarantena per prigionieri polacchi destinati alla successiva deportazione in altri campi all’interno del Terzo Reich.

Il 27 aprile 1940, in seguito al rapporto di Höß, Himmler decise di ordinare all’ispettore dei campi di concentramento, SS-Oberführer Richard Glücks la costruzione del nuovo campo di concentramento – che sarebbe diventato Auschwitz – ricorrendo alla manodopera di detenuti già internati in altri campi.

Il 29 aprile, Glücks nominò Höß comandante provvisorio del nuovo campo (ottenne la nomina definitiva il 4 maggio 1940).

Höß raggiunse il campo il 30 aprile, con la scorta di cinque uomini delle SS.

Per i lavori di sistemazione dell’area, furono immediatamente impiegati civili polacchi e circa 300 ebrei, forniti dal locale consiglio ebraico (Judenrat).

Il 20 maggio 1940 arrivarono al campo i primi 30 prigionieri, provenienti dal campo di concentramento di Sachsenhausen, per la maggior parte criminali comuni selezionati per la loro crudeltà e ottusa obbedienza a ogni ordine, destinati a diventare il primo nucleo di Kapò e “prominenti” del campo, e ad aiutare le SS nel successivo “lavoro” di controllo della massa dei deportati.

Il 10 giugno 1940, prima ancora che i primi prigionieri deportati giungessero al campo, furono ordinati i progetti per un primo crematorio, dotato di tre forni, ciascuno a doppia muffola, prodotto dalla J.A. Topf und Söhne di Erfurt; i progetti furono rapidamente approvati e la costruzione ultimata entro il 23 settembre dello stesso anno, data della prima cremazione di prova conosciuta.

Il 14 giugno 1940, seppur ancora in fase di costruzione e ampliamento, il campo di Auschwitz ricevette il primo convoglio di 728 deportati, accolti dal primo direttore del campo SS-Hauptsturmführer Karl Fritzsch con le parole:

«Voi non siete venuti in un sanatorio, ma in un lager tedesco. Qui esiste solo l’entrata e non c’è altra via d’uscita che il camino del forno crematorio. Se a qualcuno questo non piace, può andare subito a buttarsi sul filo spinato ad alta tensione. Siete venuti qui per morire: gli ebrei, non hanno diritto a sopravvivere più di due settimane, i preti un mese e gli altri tre mesi.»

Auschwitz fu inizialmente fondato come campo di concentramento e di smistamento dei prigionieri di origine polacca e non specificamente per lo sterminio del popolo ebraico.

Infatti, nonostante il violento antisemitismo proprio della dittatura nazionalsocialista, all’epoca della fondazione del campo Hitler e i gerarchi del Reich non avevano ancora trovato quella che, eufemisticamente denominarono in seguito, la “soluzione finale del problema ebraico”.

Tale “soluzione” sarebbe stata decisa da Hitler tra l’ottobre e il dicembre 1941 e pianificata nel corso della Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942, durante la quale si decise lo sterminio scientifico del popolo ebraico (e di altre minoranze) e che diede avvio, dalla metà del 1942, alla fase più brutale dell’Olocausto, quella del genocidio.

Per quella data ad Auschwitz era stato reso pienamente operativo ed efficiente il grande complesso di sterminio di Birkenau

I convogli di deportati (circa 2 000 – 2 500 prigionieri per treno), spesso chiamati trasporti, composti da vagoni merci contenenti dalle 80 alle 120 persone costrette a inimmaginabili condizioni di vita e igieniche, che spesso viaggiavano per 10-15 giorni per raggiungere la loro ultima meta, erano organizzati da uno speciale dipartimento dell’RSHA (ufficio centrale per la sicurezza del Reich): l’Amt IV B 4 comandato da Adolf Eichmann.

Eichmann e i suoi collaboratori in qualità di esperti di “problemi ebraici” gestirono l’intera parte logistica dello sterminio suddividendo i convogli sui diversi centri di sterminio in base alla capacità “ricettiva” dei centri stessi: il grande complesso di Auschwitz ricoprì sempre un ruolo fondamentale nel processo di “soluzione finale”.

Le azioni di sterminio (chiamate Aktion), della durata di 4-6 settimane, si susseguirono per tutta la durata del conflitto coinvolgendo successivamente diversi gruppi provenienti dalle nazioni sotto il controllo tedesco.

Dal 14 giugno 1940 (data del primo arrivo di deportati al campo) al 1942 (data di attivazione della Judenrampe), i treni sostavano sui binari nei pressi del campo principale di Auschwitz – i grandi impianti di sterminio di Birkenau non erano ancora stati costruiti.

Anche in seguito, soprattutto nel caso di convogli di rastrellati polacchi (non ebrei) da internare nel campo principale, questa soluzione continuò a essere utilizzata.

Si ebbero anche casi di treni “scaricati” nella stazione della cittadina di Oświęcim a causa dell’eccessivo numero di convogli in arrivo.

I treni di deportati, a partire dal 1942 fino al maggio 1944, arrivarono a una piccola banchina ferroviaria, universalmente nota come la rampa degli ebrei o, in tedesco, Judenrampe e situata a circa 800 metri all’esterno del campo di Auschwitz, nei pressi dello scalo merci della stazione di Oświęcim.

La maggior parte dei convogli di deportati italiani ebbe come ultima fermata proprio la Judenrampe, compreso il treno che trasportava Primo Levi, che ha vividamente descritto la scena del suo arrivo notturno come «una vasta banchina illuminata dai riflettori» in Se questo è un uomo.

Dopo la guerra, la Judenrampe, luogo di arrivo (e selezione) di almeno 800 000 deportati da tutta Europa, non fu inclusa nell’area divenuta museo del campo e scomparve quasi completamente.

Solo nel 2005 è stata in parte recuperata e inserita all’interno dei percorsi di visita al campo di Auschwitz.

Nel maggio 1944, per semplificare le operazioni di sterminio dei numerosi convogli provenienti dall’Ungheria, la linea ferroviaria fu prolungata all’interno del campo di Birkenau fino a una nuova banchina a tre binari chiamata Bahnrampe.

La Bahnrampe, resa famosa dalle evocative scene del capolavoro Schindler’s List di Steven Spielberg, fu utilizzata fino al novembre 1944 quando, per ordine del comandante delle SS Heinrich Himmler, con l’avvicinarsi delle truppe sovietiche le operazioni di sterminio furono sospese e si procedette alle operazioni di liquidazione del campo.

Appena arrivati a destinazione i treni venivano rapidamente scaricati del loro carico umano e avveniva la selezione, tra gli abili al lavoro e coloro da inviare direttamente alla morte.

Le procedure della selezione sono state descritte nei molti libri di memorie dai deportati sopravvissuti e nelle testimonianze fornite ai processi da membri dello stesso personale SS.

Ne esiste anche una dettagliata documentazione fotografica, nel cosiddetto Auschwitz Album, una serie di circa 200 foto scattate fra il maggio e il giugno del 1944 da militari delle SS, probabilmente per ordine delle autorità di comando tedesche desiderose di vedere quanto avveniva nel campo.

L’area veniva circondata da uomini armati delle SS e da altri internati che provvedevano ad accostare rampe in legno alle porte dei vagoni per semplificare e velocizzare la discesa dei nuovi arrivati.

Gli stessi internati – che avevano l’assoluto divieto, pena la morte, di parlare con i nuovi arrivati per evitare il panico negli stessi – provvedevano a scaricare i treni in arrivo dei bagagli che successivamente venivano portati presso il settore Kanada di Birkenau dove si effettuava la cernita e l’imballaggio dei beni per il successivo invio in Germania.

Gli uomini venivano separati dalle donne e dai bambini formando due distinte file.

A questo punto personale medico delle SS decideva chi era abile al lavoro.

Mediamente solo il 25% dei deportati aveva possibilità di sopravvivere.

Il restante 75% (donne, bambini, anziani, madri con figli) era inviato direttamente alle camere a gas.

Le percentuali abili/gasati fluttuarono per tutto il corso del conflitto, in base alle esigenze dell’industria bellica tedesca diretta da Albert Speer.

Vi furono casi di interi treni di deportati inviati direttamente alle camere a gas senza nessuna selezione a causa del sovraffollamento del campo e del preventivato rapido arrivo di nuovi convogli, soprattutto durante lo sterminio degli ebrei ungheresi nel 1944.

La selezione era operata esclusivamente da personale medico delle SS, uno o più dottori a turno operavano il servizio alla rampa.

In questa fase le SS mantenevano un comportamento gentile e accondiscendente al fine di mascherare le loro intenzioni e velocizzare le operazioni di scarico e selezione, infondendo falsa fiducia nei prigionieri appena arrivati, normalmente stanchi e confusi dal lungo viaggio.

Coloro considerati non utili allo sforzo bellico venivano inviati immediatamente in una delle quattro camere a gas mascherate da docce situate a Birkenau dove, in gruppi, i prigionieri venivano uccisi con gas letali (di solito Zyklon B).

Un’altra camera a gas, la prima costruita, era presente anche ad Auschwitz e fu operativa dal 15 agosto 1940 al luglio 1943, quando fu definitivamente abbandonata in favore delle più “efficienti” camere presenti a Birkenau.

I deportati venivano trasportati (a piedi o con grossi camion) verso le camere a gas, che si trovavano dall’altra parte del campo rispetto alle banchine di arrivo.

Qui giunti venivano introdotti in un locale camuffato da spogliatoio con tanto di descrizioni multilingue delle procedure per il successivo recupero dei vestiti.

A documentare il momento immediatamente precedente e immediatamente seguente l’ingresso dei prigionieri nelle camere a gas si conoscono, oltre a numerose testimonianze di prigionieri sopravvissuti e del personale SS, anche le quattro foto del Sonderkommando, scattate clandestinamente da un membro del gruppo di lavoro ad Auschwitz-Birkenau (forse l’ebreo greco Alberto Errera) e fatte pervenire alla resistenza polacca.

I prigionieri dichiarati abili al lavoro venivano invece condotti negli edifici dei bagni, dove dovevano, anzitutto, consegnare biancheria e abiti civili, nonché tutti i monili di cui erano in possesso; venivano privati, inoltre, dei documenti d’identità eventualmente posseduti.

Uomini e donne potevano conservare solo un fazzoletto di stoffa; agli uomini era concesso conservare la cintura dei pantaloni.

Successivamente, i prigionieri venivano spinti nel locale in cui erano consegnati ai barbieri, che li radevano su tutto il corpo.

L’operazione era condotta in maniera sbrigativa, dopo aver inumidito le zone sottoposte a rasatura con uno straccio intriso di liquido disinfettante.

Passaggio successivo era la doccia, cui seguiva la distribuzione del vestiario da campo: una casacca, un paio di pantaloni e un paio di zoccoli. I detenuti ritenuti “abili al lavoro” dovevano lavorare fino allo stremo per numerose ditte tedesche, tra cui la IG Farben, produttrice del gas che serviva a sterminarli, la Metal Union e la Siemens.

Nel campo non c’erano servizi igienici, nessuna assistenza medica, fame ed epidemie erano all’ordine del giorno.

Rasati a zero, scorticati con rasoi senza filo fin nelle parti intime, disinfettati con prodotti orticanti e lavati nel peggiore dei modi con acqua bollente alternata alla gelata, ai prigionieri arrivati venivano poi dati i logori panni del campo, costituiti da specie di “pigiami” a strisce grigie scure e chiare o abiti riciclati con grandi toppe visibili tolti ai deportati prima di loro.

Pesanti e spaiati zoccoli di legno completavano la “divisa”.

Poi i detenuti ricevevano un numero progressivo che veniva tatuato loro sull’avambraccio sinistro.

Seguiva la registrazione del numero compilando una scheda con i dati personali (Häftlings-Personal-Karte) e con l’indirizzo dei familiari più prossimi.

I neo entrati venivano avvisati che d’ora in avanti non sarebbero più stati chiamati per nome ma diventavano solo dei “pezzi” (Stücke) numerati, un numero che erano obbligati a imparare a memoria in tedesco, sia a pronunciare sia a riconoscere quando si veniva chiamati.

Per tutte le operazioni nel campo era necessario usare il numero, sia per ricevere la brodaglia del vitto sia nelle estenuanti conte degli appelli; qualunque errore sarebbe stato punito impietosamente.

Dalla pratica del tatuaggio erano esentati i cittadini tedeschi ariani, i prigionieri “da rieducare”, nonché gli ebrei provenienti da Varsavia durante e dopo l’insurrezione del Ghetto nell’agosto-settembre 1942; a costoro era riservato un trattamento di punizione particolare, effettuato con efferatezza e sadismo estremi.

Non era necessario registrarli perché sarebbero stati uccisi di lì a poco con modi atroci.

Il numero di matricola, impresso su un pezzo di tela, era anche cucito sul lato sinistro della casacca, all’altezza del torace, e sulla cucitura esterna della gamba destra dei pantaloni.

Al numero era associato un contrassegno colorato, che identificava le diverse categorie di detenuto.

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